Il lugubre libro “nero” del pugilato…Competenza e coscienza!

Lo sport implica sempre dei rischi. Inutile negarlo.

Non c’é disciplina che non abbia purtroppo il proprio lugubre libro “nero” nel quale sono ricordati (non sempre) coloro che hanno pagato un tributo altissimo, sino alla vita, per cimentarsi nelle arene più disparate. Inutile ricorrere alle statistiche, ai numeri, all’elencazione delle vittime, al macabro “ne muoiono più qui che là”.

Noi esseri umani siamo fatti di carne ed ossa, di sangue ed acqua. Dimentichiamo troppo spesso di essere fragili, tremendamente fragili. Sport o non sport. Poi, ciascuno é portato a difendere la propria passione, i propri campioni, la specialità più amata. E talvolta si giunge persino a mettere in un cantuccio oscuro e poco visibile quanto di tragico accade.

Comprensibile, giustificabile, ma non saggio. Il pugilato é una disciplina “totale” per implicazioni tecniche, fisiche e morali. E’ dura, stupendamente, crudelmente dura. Ma proprio per tale ragione non ne vanno sottovalutati né tantomeno occultati i pericoli. Il pugile difficilmente s’arrende. Il pugile raramente accetta di alzare bandiera bianca. Quindi, solo l’arbitro e i suoi uomini d’angolo possono sottrarlo ad una situazione in cui il prezzo da pagare sta diventando intollerabile. Per ogni guerriero del ring c’è quasi sempre un’altra possibilità e se anche non ci fosse, esiste una vita oltre quelle corde che l’attende, persone che aspettano il suo ritorno a casa.

Competenza e coscienza…Competenza e coscienza.

Nessun altro complicato segreto. I suggerimenti devono essere impartiti da chi é in grado di farlo e il primo di tali suggerimenti é il “basta”, quando l’amaro momento é arrivato.  Sì…L’ho già scritto sopra. Non c’é disciplina che non abbia purtroppo il proprio lugubre libro “nero”. E sia chiaro che mai verrà del tutto eliminato il rischio, persino per chi é seduto in poltrona a leggere il giornale. Siamo fatti così.

Ma se é impossibile lottare contro la fragilità della natura umana, é invece possibile lottare affinché tale fragilità sia sempre ben chiara e presente nella mente di chi ha, per qualche fatale istante, in pugno l’incolumità, la vita stessa di una ragazzo che si sta battendo, costi quel che costi, per inseguire i propri sogni. Al pugile che non cede, si ha il dovere d’imporre la resa.

Questo si chiama “amore”.

“Yori Boy” Campas a quarantotto anni sul ring: il coraggio di combattere ma non di dire basta

L’11 Luglio 1987 debuttava vittoriosamente al professionismo vincendo per ko al 1° round a Ciudad Obregon, in Messico. Sabato prossimo, trentadue anni dopo, scavalcherà ancora le sedici corde per la 128^ volta, portandosi sul ring il peso dei suoi 48 anni e un coraggio che rasenta la temerarietà. Sì. E’ lui! Luis Ramon Campas, meglio noto come “Yori Boy” (107-17-3; 82 ko), il guerriero atzeca di Navojoa; colui che ha visto sorgere e tramontare intere generazioni di famosi colleghi; colui che già 25 anni orsono contendeva a Felix “Tito” Trinidad il mondiale dei welter Ibf, soccombendo a Las Vegas per kot al 4° round. Occorrerebbero numerose e lunghe pagine per raccontare la storia di pugile e di uomo di Campas. Allora limitiamoci solo a riportare i nomi di alcuni dei tanti campioni ai quali ha dato del “tu”m e che hanno messo la firma sul grande libro della boxe mondiale: Jorge Vaca, Javier Altamirano, José Luis Lopez, Fernando Vargas, Oba Carr, Tony Ayala, Daniel Santos, Oscar De La Hoya, John Duddy, Amin Asikainen, Matthews Macklin, Hector Camacho, Genaro Leon, Alejandro Garcia, ecc…

Tantissime volte ha annunciato l’addio al ring, il vecchio “Yori Boy”. Altrettante se l’é rimangiato. Non si può non ammirare, rispettare e seguire con emozione un uomo, un pugile come questo. Proprio per tale motivo ci piacerebbe immensamente che trovasse il coraggio, la pace interiore, la consapevolezza di dire “basta”. Purtroppo, come tanti prima di lui, insieme a lui e dopo di lui, continua a ripetere che l’ultimo combattimento sarà il prossimo. Sempre il prossimo…Ha attraversato oltre tre decenni di pugilato, tanto che il suono gong gli é probabilmente ormai consueto e dolce come la musica in una notte d’estate. Qualcuno (quasi sempre chi non ha mai sperimentato quanto male possa fare un pugno) dirà che dal 2013 é imbattuto, con sette vittorie e due pareggi e che quindi fa benissimo ad andare avanti, avanti, avanti… Ma sui quadrati di Messico e Stati Uniti ha lasciato già abbastanza di sé e battere rivali senza valore non significa molto, se non offrire l’alibi per insistere sino a quando non sarà più lui, ma i colpi di un avversario a decidere del suo domani. Benché sia una roccia e abbia un cuore grande come l’Arena di Città del Messico, già nove volte ha ceduto prima del limite, perché anche il ferro si piega. Sono tante e il prezzo pagato comincia ad essere alto, quasi troppo.

Ora l’attende, sul palco cordato di Rosarito, una cittadina balneare a due passi da Tijuana, il connazionale Alex Cannett (12-2-2; 8 ko), pugile di modesto valore e ancor più modesta popolarità, al rientro dopo un ko subito due anni fa. Già questo immalinconisce. Ma auguriamo a “Yori Boy” di vincere, di raccogliere ancora gli applausi della piccola folla che andrà a vederlo, di alzare per l’ennesima volta le braccia al cielo e di dire finalmente “addio”!

C’é un’altra vita che l’attende e chi ha combattuto 128 match come un leone deve trovare il coraggio di affrontarla. Non abbia timore: nessuno si dimenticherà di lui…