Salvatore Burruni

Salvatore Burruni nacque ad Alghero l’11 Aprile1933,in una famiglia contadina della quale era l’ottavo e più piccolo rampollo. E piccolo sarebbe rimasto, fermandosi a 158 centimetri. Era un bambino quando varcò la soglia della palestra del proprio paese dove un allenatore-muratore, l’indimenticabile Franco Mulas, ne intuì le potenzialità.
Burruni dimostrò rapidamente di essere speciale. Volontà, modestia, enormi risorse atletiche e caratteriali, lo proiettarono ben presto ai vertici dilettantistici nella categoria dei mosca, a 51 kg. Divenne campione d’Italia nel 1954 e nel 1956, campione mondiale militare in Germania nel 1955 e a Napoli nel 1956, conquistò l’oro ai Giochi del Mediterraneo di Barcellona nel 1955 (Tore scoprì con stupore di parlare la medesima lingua dei catalani mediante il dialetto algherese!) e volò all’Olimpiade di Melbourne 1956, dove fu sconfitto però dall’esperto sovietico Vladimir Stolnikov.
Ma c’era chi aveva già puntato gli occhi su di lui: il manager statunitense-ungherese-italiano Steve Klaus al quale sarebbe subentrato nel 1961 il manager Umberto Branchini.”Tore” passò così professionista nel 1957 e non deluse le aspettative anche se nel 1958 subì una sconfitta contro Aristide Pozzali (unico italiano ad averlo battuto),talento dell’A.B.C Cremona del dott. Geo Castellani che avrebbe potuto diventare un campione, se avesse avuto più disciplina.
Il 27 settembre 1958 Burruni divenne campione italiano battendo ai punti Giacomo Spano, nativo di Marsiglia ma di radici sarde. Appena due settimane dopo però “inciampò” in Horacio Accavallo, argentino figlio di un emigrante di Potenza, che, il 12 ottobre 1958 nello Stadio Amsicora di Cagliari,lo superò ai punti. Il 1º agosto 1959, Burruni comunque si rifece ai punti e scrisse il primo segno “meno” nel record del futuro campione del mondo.
In quegli anni “Tore” sostenne quattro vittoriose difese tricolori (due con Salvatore Manca, ancora con Giacomo Spano e contro il veneto Angelo Rampin) e finalmente arrivò la consacrazione internazionale, il 29 Giugno 1961 ad Alghero, strappando la corona europea con un netto verdetto ai punti all’allampanato finlandese Risto Luukkonen. A “tambur battente” la difese poi con l’inglese Derek Lloyd (kot alla sesta ripresa, il 12 agosto 1961 a Sanremo), con il duro marocchino di Spagna Mimoun Ben Ali (ai punti, il 30 giugno 1962, a Saint Vincent), con il francese Pierre Rossi (ai punti, il 14 settembre 1962, al Vigorelli di Milano), con l’altro francese René Libeer (ai punti, il 5 luglio 1963, ad Alessandria) ed infine, il capolavoro della carriera di Salvatore! Il match che Rino Tommasi, nel libro “Grande Boxe”, ha messo al primo posto nella graduatoria dei migliori incontri da lui organizzati: quello contro il ventiduenne imbattuto scozzese Walter McGowan, viso da bravo studente, sempre sorridente ma estremamente temibile sul ring!
Intanto il problema della bilancia diventava sempre più duro per il guerriero di Alghero. I digiuni e le saune erano ormai un crudele calvario a cui doveva assoggettarsi.
Se avesse vinto, per Burruni potevano spalancarsi le porte verso il mondiale, ma tantissimi, con Rino Tommasi in testa, si domandavano: “Vincerà?”.
E invece, il 24 Aprile 1964 al PalaEur di Roma), Burruni compì il miracolo. Terminò i quindici round con il sopracciglio sinistro sanguinante, lo zigomo destro ferito e un’epistassi nasale. McGowan non attese nemmeno il verdetto per riconoscerne la chiara superiorità. Nulla avevano potuto la sua tecnica e intelligenza. Tore lo soffocò con un ritmo infernale, quasi avesse lasciato negli spogliatoi la sensazione della fatica e la sensibilità al dolore.
E il 23 aprile del 1965, un anno dopo, sullo stesso ring (per la prima volta con quattro corde) del PalaEur, la notte in cui i sogni di bimbo divennero realtà. Aveva trentadue anni, tanti per quei tempi e soprattutto per un peso “piccolo” che ha nella velocità e nella mobilità le qualità imprescindibili.
Negli spogliatoi del PalaEur Umberto Branchini l’osservava scuotendo la testa. Non gli era mai successo di vedere uno sfidante al campionato del mondo dormire sul lettino dei massaggi. Eppure lo stanzone tremava per il frastuono proveniente dalla sovrastante arena dove 15.000 spettatori (di cui 3.000 sardi!), erano accorsi per assistere alla sua sfida al ventinovenne thailandese Pone Kingpetch, giunto a Roma con un mese d’anticipo e un seguito di due allenatori, un massaggiatore, un interprete e due fratelli. Dal lontano Oriente aveva portato persino una cisterna d’acqua perché temeva chissà quali manovre mafiose. Attraverso estenuanti trattative con l’organizzatore Rino Tommasi, titolare della ITOS, si era messo in tasca cinquantacinquemila dollari, la più alta borsa mai pagata sino ad allora ad un pugile nel nostro Paese. Tra l’altro, Kingpetch era già benestante, proprietario di un grande hotel a Bangkok e di diverse attività commerciali. Invece a Burruni sarebbe toccato appena un milione di lire, una cifra poco più che simbolica. I fatti gli diedero ragione. L’alto Pone Kingpetch fu dominato dal primo all’ultimo istante e “Tore” non aveva avuto bisogno di nessun torbido aiuto. L’arbitro messicano Ramon Berumen gli attribuì il punteggio di 74-63; il giudice italiano Nello Barrovecchio 74-63; il thailandese Chuer Chaksuraksa 72-68.
Era il quinto italiano a diventare iridato dopo Carnera, D’Agata, Loi e Mazzinghi e il primo a vincere la cintura dei pesi mosca (unificata Wba-Wbc).
Adesso era arrivato però il momento di mettere fieno in cascina per il “dopo”. Il 7 Agosto e il 7 Ottobre successivi volò prima a Buenos Aires e quindi a Tokio per match non validi per la cintura, dove fu sconfitto ai punti e in modo discutibile rispettivamente dalla vecchia conoscenza Horacio Accavallo e dal nipponico Katsuyoshi Takayama eppoi, il 2 Dicembre 1965, si recò a Sidney per battere per kot alla tredicesima ripresa, con in palio il titolo, il calabrese d’Australia Rocky Gattellari. L’8 Febbraio 1966 altra trasferta a Bangkok sui dieci round, contro il terribile tailandese Chartchai Chionoi e nuova sconfitta ai punti.
Infine, l’addio alla cintura mondiale il 14 Giugno 1966 all’Empire Pool di Wembley di Londra. Scavalcò le corde praticamente già battuto dalla bilancia e da un prolungato digiuno e stavolta Walter McGowan, ancora migliorato rispetto alla prima sfida, ebbe la meglio con largo margine.
Trentatreenne, Burruni però non si arrese e passò nei gallo riuscendo a conquistare di nuovo l’europeo, il 10 gennaio 1968 a Napoli, con Mimoun Ben Ali. Gli venne offerto di andare a giocarsi la semifinale mondiale nella nuova categoria a Città del Messico, ma il 31 Marzo 1968 il giovane Rubén Olivares, uno dei migliori pugili di tutti i tempi, lo fermò al terzo round.
Difese ancora il titolo europeo dei gallo a San Benedetto del Tronto, il 31 luglio 1968, contro il fortissimo campione d’Italia Franco Zurlo, vincendo ai punti e infine a Reggio Calabria il 9 aprile 1969, mantenne la cintura per l’ultima volta sul francese Pierre Vetroff, con un kot alla nona ripresa.
Poi si ritirò “al momento giusto” come egli stesso ebbe a dire. Si dedicò alla famiglia, alla sua campagna e ad insegnare pugilato ai ragazzini.
Nella propria abitazione di Santa Maria La Palma, a due passi da Alghero, il 30 Marzo 2004 Salvatore Burruni ha concluso il suo percorso terreno dopo anni di lotta contro il male, con accanto la moglie Rosetta e i figli Pierpaolo e Gianfranco. Ma anche i milioni di sportivi che non potranno mai più dimenticarlo.

Sveglia, Boxe! C’è l’ultima ripresa…

Se un giorno il Pugilato dovesse scomparire dai Giochi Olimpici e perdurasse la devastante opera di banalizzazione di una delle discipline più nobili e antiche anche attraverso sfide tra ricchi clown e vecchi campioni, che sarà di esso?
Cosa sarò tramandato ai posteri?
Dei tempi remoti, a noi sono pervenute almeno meravigliose anfore, magici affreschi e commoventi statue celebranti la grandezza di pugili antichi che hanno conquistato in tal modo l’immortalità.
I tempi presenti forse tramanderanno ai posteri soltanto un nulla contornato da selfie e tatuaggi…
Per evitare tale incombente pericolo sarebbe indispensabile che tutti coloro che amano e vivono il pugilato, ciascuno a modo suo, aprissero gli occhi, si svegliassero, prendessero coscienza che non ci si salva con un minuscolo successo dei propri colori o l’effimera vittoria di un proprio atleta perché, come diceva quasi cinquecento anni orsono il poeta inglese John Donne:
“Nessun uomo è un’isola
completo in se stesso…
ognuno è una parte del tutto.
E dunque non chiedere mai
per chi suona la campana:
essa suona anche per te”.

Probabilmente, in un’indifferenza sconcertante, si è giunti al bivio fatale. Da una parte la possibile riscossa, dall’altra la discesa senza ritorno.
Sono vicinissime le due strade e prendere quella giusta o quella sbagliata è questione di un attimo.
Gente della boxe, ascolta il gong e alza la guardia.

C’è l’ultima ripresa da combattere!

Il mio personale Olimpo dei pugili dappoco

Ho collezionato, durante la mia vita di appassionato di boxe, circa seimila foto, a partire da quella con dedica di Italo Scortichini, la mia n.1 (come il “cent” portafortuna di Paperon dé Paperoni), risalente a quando avevo appena cominciato le scuole elementari. Con pazienza le ho in gran parte raccolte e tuttora continuo a raccoglierle in una chiavetta del computer e talvolta, per ragioni di ricerca o semplice nostalgia, le vado a visitare. Soltanto qualche raro amico le ha viste.
Ne sono un po’ geloso e inoltre, purtroppo, sono consapevole che quasi a nessuno interessano più…
Coloro che vi hanno dato una sbirciata, a parte quelle mille volte pubblicate dei celeberrimi pugili, non riconoscono nessuno e leggendo il nome di chi vi é immortalato mi domandano, quasi sempre, chi siano i tanti “mai sentiti dire” che conservo nel mio “scrigno” di immagini.
E rimangono sbalorditi quando rispondo che si tratta di perdenti, di mediocrissimi, di comparse e meteore di cui forse neppure gli amici e i parenti ricordano ormai i trascorsi sul ring.
A quel punto devo loro una spiegazione riguardo tale apparentemente inutile presenza. Ogni foto, spiego, è per me una scelta meditata. E’ riferibile ad un momento della mia vita che ha creato una specie di filo che mi collega a lei. Niente è dovuto al caso. Anzi. C’è un ordine, un criterio preciso nel sceglierle che solo io comprendo sino in fondo. Sono le immagini di uomini e pugili che ho visto combattere o di cui ho letto tante volte in trafiletti dispersi tra le pagine dei giornali. Ecco il pugile che mi commosse e quello che perdeva sempre; quello che si faceva squalificare per limitare i danni e l’altro che aveva un coraggio da leone; quello che nemmeno sapeva mettersi in guardia e colui che scambiava il ring per un saloon del Far West; quello che si illudeva di essere un campione e pure chi sprizzava paura matta da tutti i pori; colui del quale ero amico e pure l’antipatico che mi irritava solo a vederlo…
Tutti sono in ogni caso rimasti inchiodati alla mia memoria e non se ne sono più distaccati portandosi dietro, come le caselle di un domino, un’infinità di altre caselle belle e brutte, allegre e drammatiche della vita. Piccole e pur importanti storie che mi riconducono a vicende personali, mie e forse solo mie…
Tra le fotografie vecchissime e recenti dello “scrigno” non c’è differenza tra campionissimi e “mezze calzette”. Almeno per me.
E io so il perché. Questo è ciò che conta. Pertanto sarò sempre grato a tutti quei seimila eterni ragazzi per esserci stati ieri ed esserci ancora oggi…
E con identico cuore.

Il pugile e la pallina lanciata

  DI GUALTIEROBECCHETTI

E’ sempre ancora molto verde l’età in cui un giovane decide di dedicare tante cose allo sport. Se quello sport è poi la boxe, la decisione è ancora più totalizzante. Deve compiere una scelta tra ciò che sarà importante per riuscire a combinare qualcosa e ciò che lo sarà meno. Anzi. Talvolta proprio da scartare come un diavolo tentatore.
Faticherà, soffrirà, rimpiangerà, verserà lacrime e conquisterà sorrisi.
Soprattutto sognerà…
E non tutti lo capiranno, in casa e fuori. Tra la gente matura o i coetanei a briglia sciolta.
Inutile vagheggiare di soldi, di ricchezza, di prime pagine sui giornali. Un privilegio di pochi eletti…E in fondo non gliene frega neppure tanto.
Poi un giorno, chi prima e chi dopo, si stancherà o verrà scartato dalla selezione impietosa dei risultati o eliminato dalle leggi del tempo.
Cosa gli resterà?
Solo una specie di pallina di gomma che solo lui vede, impastata con le proprie mani nei giorni da pugile, infarcita di tutto il bello e tutto il brutto che ha vissuto. Degli insuccessi o dei fantastici trionfi incontrati lungo l’impervio percorso.
Una pallina che lancerà in avanti, sulla strada della vita e che rimbalzerà mille volte senza fermarsi mai. Una pallina ricolma di sé e camminando lungo la via di un futuro mai semplice ogni tanto si fermerà per raccoglierla, osservarla, ripassarla e buttarla di nuovo in avanti, avanti e ancora avanti.
A fargli da guida e da compagnia per anni e anni.
Una pallina magica, fatata, fedelissima. Che non si perderà né si consumerà mai…

LA BOXE, LA BILANCIA, LA SALUTE, IL DOMANI…

…Gli avevano detto che la bilancia é la strega cattiva dei pugili. Allora era un ragazzino alle prime armi e l’aveva presa come un’esagerazione dei “nonni” dello spogliatoio verso la nuova recluta per spaventarla un po’.
Invece gli avevano descritto perfettamente la realtà.
Aveva pensato, qualche tempo dopo, che salire di qualche chilo seguendo il naturale sviluppo del proprio corpo sarebbe stata la soluzione ovvia.
Invece no!
Man mano che s’allungava la lista dei suoi successi, lo convinsero che sarebbe stata una pazzia. Gli avversari erano più forti nella categoria superiore, più temibili…Per nutrirsi e ad abbeverarsi come un uccellino gli offrirono soccorsi farmacologici e lo sottoposero a strani rituali che parevano tratti da film di fantascienza.
E ciò per essere sempre il migliore, per fregare i rivali, la bilancia e finanche la fame e la sete.
Ma di notte faticava a dormire, era diventato intrattabile per la tensione che gli graffiava le viscere, si sentiva perennemente stanco. Le vittorie, le gratificazioni morali ed economiche, lo spingevano però ad andare avanti.
Poi un giorno, tornando a casa da un lungo ritiro, in famiglia lo guardarono sbigottiti. Aveva l’aspetto inquietante di chi é malato e non se ne rende conto. Il volto pallido e scavato, gli abiti diventati larghissimi, un atteggiamento chiuso e sommesso non da atleta pieno di vigorosa gioventù, ma da persona rassegnata a percorrere un calvario.
Nell’ennesima notte di sonno ad intermittenza, pensò a com’era sino a qualche anno prima. Allegro, pieno di muscoli forti e guizzanti, di speranze e di serene aspettative. Accese la luce e si guardò allo specchio. In quel momento gli parve di guardare un altro, tant’era cambiato.
Che gli era successo?
Prese coscienza che un giorno, prima o poi, avrebbe appeso i guantoni al chiodo con tutta la vita ancora davanti. Ed ebbe paura. Certi conti si pagano. A volte dilazionati nel tempo, ma comunque si pagano.
Quando rientrò in palestra disse al suo tecnico e ai dirigenti che sarebbe salito di categoria perché non ne poteva più di una vita piena di angosce e di stregonerie.
Gli buttarono tra i piedi mille ragioni affinché tornasse sui suoi passi. “Non vincerai più”, fu la formula principale e ripetuta all’infinito…
Non importa-rispose il ragazzo-Mi avete sempre detto che sono un campione, ma se basta crescere qualche chilo a trasformarmi in un pugile da quattro soldi significa che sono soltanto un bluff. Proprio un pugile da quattro soldi. Quando smetterò voglio essere sano e con tanti anni ancora da vivere al meglio che potrò. Da oggi decido io, perché voi continuerete il vostro lavoro anche quando io non salirò più sul ring e faticherete a ricordarmi. A me resteranno invece i postumi. Se vi sta bene, ok! Se non vi sta bene, uscirò da quella porta e non mi vedrete mai più…”.
Come sarà finita questa piccola storia? Articolo successivo: L’amatore nella Boxe. Colui che ama…Avanti 

L’amatore nella boxe. Colui che ama…

Aveva imparato a coordinare braccia e gambe; a sopportare il dolore agli addominali durante gli esercizi a terra; a saltare la corda in modo dignitoso; a mettersi in guardia avanzando e indietreggiando senza incespicare; a scambiare colpi reciproci sulle mani con un compagno o una compagna di palestra. Ma soprattutto, molto lentamente e con tanta buona volontà, si era abituato ad udire il suono dell’orologio che scandiva l’alternarsi delle riprese non più come la sirena di un’ambulanza che accorre per salvare la vita, ma come un semplice segnatempo che fa rifiatare. Insomma, aveva risvegliato il suo corpo e soprattutto il suo spirito da uno stato di indolente sonnolenza che perdurava dai tempi dell’infanzia. Era anche molto contento quando il maestro gli rivolgeva la sua attenzione per correggerlo e incitarlo, staccandosi un attimo dalla cura dei pugili “veri”, quelli che sul ring ci vanno per battersi e non per giocare. Di essi era diventato tifoso, anzi, amico, condividendone i preziosi minuti dello spogliatoio. Il “confessionale” scanzonato o amaro di tutti gli atleti. Il luogo che non può capire appieno chi non c’è mai passato…
Era diventato un amatore. Al pari di numerosi uomini e donne di ogni età. L’anti-camera o la post-camera della boxe. Uno dei tanti che per l’anagrafe o per i limiti fisici e caratteriali non aveva mai varcato la soglia del pugilato-pugilato. Ne era comunque orgoglioso. Si sentiva parte di una famiglia, di una cerchia o di una setta, a seconda delle circostanze.
Non era un pugile, ma amatore sì! Era amatore perché appunto amava il ring da “vicino”, da una posizione privilegiata.
Un po’come la comparsa di un film, che si diverte e talvolta si trova persino fianco-a-fianco con il celebre protagonista.
In fondo, una piccola candelina della Noble Art la teneva tra le mani pure lui. E contribuiva a tenerne viva la luce.

Il pugile, l’orgoglio, lo specchio

Aveva smesso da poco di salire sul ring. Stava cercando di riprendere il filo della propria vita restringendo un po’ per volta quell’autostrada immensa su cui si era mosso per tanti anni, allargando nel contempo le altre vie e gli altri viottoli più stretti e meno illuminati che aveva troppo trascurato…Il lavoro quotidiano, la famiglia, gli affetti, gli amici. Tutte cose destinate a riempirgli l’esistenza nei decenni che l’aspettavano. Un po’ ingrassato rispetto a quando doveva fare i conti con la bilancia, cominciava a riprendere l’abitudine a qualche cena con i coetanei e a parlare di mille argomenti che per lungo tempo gli erano stati estranei. I problemi di lavoro, il calcio, le ragazze, la politica, i pettegolezzi sulle comuni conoscenze. Non amava però rivangare il pugilato. Non era ancora pronto. Se qualcuno ne accennava, provava una specie di dolore, di rovente vuoto agitarsi dentro, come chi é stato abbandonato dal grande amore della propria vita.

Gli amici l’avevano capito e cercavano di sviare il discorso quando qualcuno aggregato al gruppo non si rendeva conto di tale struggente sofferenza.

Una sera, a cena conclusa, mentre era intento a sorseggiare l’ “ammazza-caffé”, una persona che conosceva da poco seduta quasi davanti a lui lo fissava con una certa insistenza, probabilmente colpito dai segni che sul volto e sulle mani testimoniavano ciò che era stato per vent’anni. Poi…“Ma come ti senti dopo tanto tempo passato a dare e ricevere pugni?-Gli domandò con una curiosità rispettosa ma nello stesso brutale-Non credo che si diventi ricchi a fare il boxeur eppure si devono sopportare tanti sacrifici e spesso ci si fa anche male…”.
Il neo ex-pugile depose il bicchierino sul tavolo, mentre attorno era calato il silenzio e gli occhi degli amici lo fissavano…Rimase pensoso per qualche secondo e:
“In effetti non si diventa ricchi. Speravo di pagarmi almeno la casa e mi sono dovuto accontentare invece di pagarne solo la metà-Rispose con calma e scandendo bene le parole-Ho dato e preso tanti colpi. A volte mi sembrava quasi di morire. Per non parlare dei sacrifici fatti in ogni ora di ogni giorno. Eppure rifarei tutto daccapo. Forse persino gratis. Il mio premio, quello che solo io conosco, lo ricevo ogni mattina e ogni sera quando in bagno mi guardo allo specchio e mi vedo un po’ ammaccato…Eppure mi sento orgoglioso, felice, appagato per quello che ho fatto. Poco o tanto che sia stato. So di avere vissuto momenti che voi umani…”. Sorrise a questa celebre battuta del film Blade Runner! Riprese in mano il bicchierino e concluse: “Nessuno mi potrà mai rubare tutto questo e spero di avere un giorno dei figli a cui raccontarlo. Sono sicuro che saranno contenti di conoscere di cos’é stato capace il loro papà. Sì, rifarei tutto…”.
Alzò il bicchierino ed esclamò: “Evviva i pugili! Evviva la boxe…”.
Attorno gli amici lo guardarono incantati.
Alcuni avevano gli occhi lucidi.

Non capisci un c…Grazie, maestro!

Era per la prima volta sul ring e ne stava passando di tutti colori. Era persino peggio di quello che s’era immaginato. Sentiva la voce roca e imperiosa del maestro che gli gridava consigli. Però li udiva non con le orecchie, ma direttamente dentro di sé. Quante volte quel burbero tecnico l’aveva richiamato, sgridato e spesso persino offeso e umiliato durante gli allenamenti, affinché facesse ciò che doveva fare e nel modo migliore!

L’aveva talvolta detestato per tale atteggiamento che lo svergognava davanti ai compagni di palestra.

Poi l’incontro finì e, seppure stremato come non mai, alzò il braccio da vincitore.
Mentre rientrava negli spogliatoi con le gambe tremanti per la fatica, si volse verso il maestro:
“Avevo una paura matta, credevo di farmela sotto…”.
“Dov’eri e cosa facevi sino a cinque minuti fa?”, gli rispose il maestro…
“Ero sul ring e combattevo”, esclamò perplesso il ragazzo.
“Vedi che non capisci un cazzo nemmeno stavolta?-Gli ringhiò con la solita brutalità il tecnico senza nemmeno guardarlo in viso-Quella tu chiami paura io lo chiamo coraggio. Infatti hai combattuto, stretto i denti e vinto…Non c’è niente da fare…Non capisci un cazzo!”.
Allibito, il pugilino appena nato aprì la bocca per ribattere a tono.
Ma gli uscì soltanto: “Grazie, maestro!”.

Boxe: da gregari a uomini e donne migliori

Per ragioni di carattere o per libera scelta, molti essere umani amano starsene appartati e sfuggono le situazioni in cui ci sia da gridare più forte degli altri o da fungere tra i trascinatori di un gruppo. Non sono necessariamente solitari. Sono così e basta. Soprattutto quando si é ancora ragazzi, a scuola o sul lavoro ciò non favorisce l’inserimento sociale, il riconoscimento di un ruolo di rilievo nella comunità dei coetanei. I silenzi, lo stare per conto proprio vengono spesso confusi con una personalità fragile, con la paura del mondo, con la predisposizione ad un domani incolore e da gregario. Poi, per scelta o per puro caso, alcuni di questi giovani scoprono lo sport, dove il successo e l’insuccesso non è determinato dalle parole ma dai fatti. Dove, un po’ per volta, il “peccato originale” rappresentato appunto dai silenzi e dalla riservatezza si trasforma in determinazione, coraggio, resistenza, concentrazione…
Se poi tra gli sport quello prescelto è il pugilato, ancora di più! Dapprima il ragazzo o la ragazza vengono percepiti dalla gente, dai compagni di scuola o dai colleghi di lavoro come strani e bizzarri individui, quindi osservati con curiosità e infine, se qualche pur minimo risultato viene conseguito (fosse anche soltanto il semplice salire sul ring), eccoli meritarsi il rispetto, l’ammirazione e non di rado l’invidia di chi non aveva capito cosa ci fosse “dentro” di loro.
Non è da tutti indossare i guantoni, Anzi, è da da pochissimi! Implica tante cose, tante qualità, tante risorse fisiche e morali precluse ai più.
Ma questo lo sa chiunque, anche chi della boxe conosce soltanto i film di Rocky Balboa.
Da quel momento la vita di tali ragazzi prende un’altra direzione perchè dinanzi a se stessi e agli occhi del prossimo essi sono diventati coloro che sono riusciti a fare qualcosa di meravigliosamente “anormale”. Lo sport, il pugilato per primo, non é detto che porti a trionfi, alla celebrità e alla ricchezza. Anzi! Ma mette radici nel cuore e nella memoria di chi l’ha praticato, vincendo e perdendo a testa alta le minuscole o grandi sfide a cui è stato chiamato.
Un prezioso lasciapassare per il domani, qualsiasi cosa accada.
Forse quelle persone continueranno ad essere ancora silenziose e talvolta solitarie, ma in ogni caso uomini e donne migliori di prima.

Vincere per ko e non accorgersene…

One…Two…Three…
Contava in inglese, l’arbitro; ed era abbastanza bizzarro, considerando che si trovavano in un paesello tra le montagne in cui era già abbastanza inconsueto che uno lo facesse in italiano e non in dialetto locale. Il clamore della piccola folla attorno, accalcata sulle panche e sedie in legno di antiche sagre di partito, sembrava un boato in quella ex sala da ballo dove il ring occupava quasi tutto lo spazio. Il ragazzo si sentiva un po’ malfermo sulle gambe per la stanchezza e per lo sventolone che l’aveva centrato pochi attimi prima quasi sull’orecchio, per fortuna parzialmente ammortizzato dal casco e dal guantone.
Four…Five…Six…
L’arbitro, mentre continuava a scandire i numeri, lo guardava con aria severa e gli indicava un angolo. Arrampicato lungo la scaletta il maestro, con gli occhi fuori dalle orbite, tutto rosso in faccia, gli intimava a sua volta di andare all’angolo. Non sapeva che fare. Non capiva cos’era era accaduto e per quanto non fosse proprio al massimo della condizione psico-fisica, gli sembrava un po’ esagerato subire un conteggio.
Seven…Eight…Nine…Ten!
Era immobile come un nanetto da giardino nell’angolo, quando vide il maestro piombargli addosso. “Che gancio, che gancio!…Lo hai fulminato. Hai visto cosa significa allenarsi bene? Quante volte abbiamo ripetuto la combinazione sinistro-sinistro-gancio destro?”.
Aveva vinto! Aveva vinto e nemmeno se n’era accorto…Solo adesso cominciava a rendersi conto che l’arbitro aveva contato il rivale il quale, a testa a bassa, veniva consolato dai suoi secondi. Poi, dopo essere stato dissetato e pulito per bene con il classico asciugamano “mille usi”, gli vennero sfilati guantoni e fu spinto con vigore a centro ring per l’annuncio del verdetto della sua prima avventura come pugile.
“Per rsc alla terza ripresa vince…”. Quando udì il proprio nome gli parve di sognare.
Nei minuti, nelle ore, nei giorni seguenti ascoltò per mille volte, dalla voce di altri, la descrizione del “sensazionale” ko conseguito al debutto. E lo memorizzò tanto bene da poterlo quasi rivivere con la fantasia e da ripeterlo altre mille volte a chi gliela chiedeva.
Con solo un piccolo particolare che non avrebbe rivelato nemmeno sotto tortura: non se n’era accorto!
Probabilmente, in uno dei frequenti confusi scambi tra principianti, con gli occhi chiusi o rivolti verso terra, aveva lanciato un colpo giunto perfettamente a segno e vinto per ko!
Ma la fortunata e casuale occasione era diventata per lui e i suoi cari una specie di piccola leggenda.
Perché sciuparla?
Ancora oggi, a tanto tempo di distanza e i guantoni appesi al chiodo al termine di una breve e modesta carriera, prova talvolta a ricostruire l’accaduto.
Niente. Tra i presenti, l’unico in quella lontana sera a non avere visto nulla era stato soltanto lui!
Ma non importa. Gli piace rivivere quasi ogni giorno l’incredibile evento.
Gli fa compagnia. Ne prova anche un pizzico d’orgoglio. “Ho vinto per ko con un destro perfetto!-Dice a se stesso-Non è da tutti e il resto della storia…lo tengo per me”.