O si cambia o per fare sport ci si rivolgerà alla Caritas

In termini di risultati sportivi, l’Italia è un’anomalia. Da cosa deriva tale costatazione? Da un dato semplicissimo e incontrovertibile: circa l’80% delle medaglie olimpiche che vengono conquistate dal nostro Paese vanno a cingere il collo di atleti in divisa. Ciò rappresenta una realtà quasi esclusivamente italiana, dal momento che altrove lo sport lo si può praticare ad alto livello senza che sia quasi inevitabile l’arruolamento in un corpo militare. Il problema quindi sta a monte, ossia nel fatto che il Comitato Olimpico Nazionale Italiano assomma in sé competenze e risorse economiche che non trovano analogia altrove, dove esistono i Ministeri dello Sport e altre strutture, le quali “decentrano” il governo dello sport. Superfluo sottolineare gli immensi meriti delle Fiamme Oro, delle Fiamme Gialle, dell’Esercito, della Guardia Forestale, delle neonate Fiamme Azzurre che hanno accolto nei propri ranghi atleti indimenticabili di tutte le discipline sportive, consentendo loro di potersi dedicare all’attività a “tempo pieno”, in strutture adeguate, non premuti da necessità economiche e quindi di esprimere ai massimi livelli il talento di cui la natura li ha gratificati. Nello stesso tempo, però, appaiono stridenti le contraddizioni di un sistema sportivo basato sul totale centralismo politico e finanziario del CONI, “surrogato” dai gruppi sportivi dei corpi militari (anch’essi ovviamente sostenuti da risorse pubbliche), a discapito di eventuali progetti e opportunità alternativi. Lo Stato dovrebbe, soprattutto in tempi di crisi profonda e globale come la presente, favorire una redistribuzione delle risorse tale da rendere veramente paritarie le possibilità della pratica sportiva e dei risultati agonistici. Tutti sappiamo che gli anni futuri riserveranno quasi certamente sempre minori contributi al CONI e di conseguenza alle federazioni e quindi la chance è una sola: reperirli presso i privati! La Gran Bretagna, proprio nell’avvicinarsi delle Olimpiadi di Londra della scorsa estate, è riuscita ad innescare un circuito “virtuoso” che ha permesso alle casse statali (anche Oltremanica in non eccelse condizioni di forma…) un risparmio enorme, dal momento che lo sport viene ora alimentato al 75% da fondi privati. Com’é possibile ciò? Innanzitutto partendo da un concetto fondamentale: l’attività sportiva ricopre una funzione sociale imprescindibile nella società, al pari delle scuole, degli ospedali, delle forze dell’ordine e dei trasporti, tanto per fare un esempio. Ciò detto, il taglio fondi pubblici comporta la necessità dell’intervento privato in tale prioritario settore della vita dei cittadini per non vederlo morire di “carestia”; per favorire questa nuova strategia si dovrebbero per prima cosa predisporre strumenti fiscali che premino (e non puniscano!) coloro che si rendessero disponibili a farlo. Eliminando progressivamente elefantiache strutture, decentrandole, impiegando le risorse umane in maniera più razionale e operativa, il CONI sarebbe agevolato nella direzione delle linee-guida dello sport italiano, dalla scuola alla prevenzione delle malattie, dall’infanzia alla vecchiaia, sino a quello d’élite rappresentato dagli atleti agonisti. Anche i gruppi sportivi militari ne trarrebbero vantaggio, dal momento che vedrebbero incrementate le proprie fila non da giovani che talvolta compiono la scelta dell’arruolamento solo perché privi di altre alternative, ma da coloro che per davvero e con convinzione compirebbero una scelta di vita per il presente agonistico, ma anche per il futuro esistenziale. E pure in questo caso diminuirebbe il peso finanziario sulle casse dello Stato. E’ chiaro che questo percorso è difficile, lungo e pieno di insidie, ma inevitabile.
Il popolo della boxe, abituato come e più degli altri ad apparecchiare la tavola ogni giorno tra indicibili difficoltà e sacrifici, avendo poco o nulla in tasca, è il primo ad essere consapevole che si può essere privati quasi di tutto per andare avanti, ma almeno le scarpe bisogna averle. Più di così non può fare e quindi, al pari degli altri “popoli” delle discipline povere, deve cominciare e senza indugio a ragionare in termini di riforma globale dello sport o tra qualche tempo per alimentare la passione del pugilato e sostenere i ragazzi ci si dovrà rivolgere metaforicamente alla Caritas!
Gualtiero Becchetti

2 thoughts on “O si cambia o per fare sport ci si rivolgerà alla Caritas

  1. OCCORRE, A MIO AVVISO, PARTIRE DALLA SCUOLA COME FANNO NEGLI STATI UNITI… MA CI PENSATE CHE ABBIAMO ANCORA LE MAESTRE CHE INSEGNANO GINNASTICA ALLE SCUOLE ELEMENTARI ITALIANE?? METTERE LO SPORT ALL’INTERNO DELLA SCUOLA, COME DOPO SCUOLA, DARE LA POSSIBILITA’ AI RAGAZZI/BAMBINI DI CIMENTARSI IN VARIE DISCIPLINE NON IMPEGNANDO COSTANTEMENTE I GENITORI A PORTARLI A DX E A MANCA DOPO 8 O 9 ORE DI LAVORO… TUTTO ALL’INTERNO DELLA SCUOLA… MAGARI…

    • Al momento attuale, come insegnante, quello che dici è fantascienza, Nelle scuole italiane è già tanto se ci sono le palestre e se certi insegnanti non hanno atteggiamenti negativi verso gli alunni che svolgono attività sportive impegnative, ritenendole dannose per lo studio delle materie “importanti”. Speriamo che il domani sia migliore!

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